12.01.2017 – REVOCA DELL’AGGIUDICAZIONE POSSIBILE SE FATTI NUOVI RENDONO L’OFFERTA ANTIECONOMICA
REVOCA DELL’AGGIUDICAZIONE POSSIBILE SE FATTI NUOVI RENDONO L’OFFERTA ANTIECONOMICA
È legittimo il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione dell’appalto «motivata con riferimento al risparmio economico che deriverebbe dalla revoca stessa ovvero per carenza di copertura finanziaria e sopravvenuta mancata corrispondenza della procedura alle esigenze dell’interesse pubblico». Il Tar Campania, Napoli, sezione I, con la sentenza 3 gennaio 2017 n. 56 conferma una logica prerogativa delle stazioni appaltanti che non possono proseguire la procedura di assegnazione dell’appalto qualora emerga, con chiara evidenza, la sua antieconomicità e, pertanto, l’inaccettabile contrasto rispetto ai principi dell’interesse pubblico che deve presidiare l’azione amministrativa.
Una puntuale motivazione La stazione appaltante decideva di revocare l’aggiudicazione della concessione una volta verificato che l’offerta dell’aggiudicatario, sullo smaltimento del percolato – la gara era relativa alla concessione della progettazione esecutiva e della realizzazione dell’ampliamento di un impianto di trattamento del percolato –, risultava sensibilmente superiore rispetto ai prezzi di mercato per fatti sopravvenuti all’aggiudicazione stessa. Nel censurare il comportamento della stazione appaltante, che – a detta del ricorrente – avrebbe dovuto procedere con la stipula della relativa convenzione e, solo successivamente, procedere con una richiesta di revisione delle condizioni economiche (ai sensi del pregresso articolo 143, comma 8, del decreto legislativo 163/2006 e oggi comma 6 dell’articolo 165 del nuovo codice), viene in rilievo, in particolare, la carenza della motivazione e la mancata instaurazione del contraddittorio. Le ragioni sostenute dal ricorrente non sono state ritenute condivisibili dal giudice.
La decisione In primo luogo, si legge in sentenza, non coglie nel segno la sostenuta pretesa per cui la stazione appaltante avrebbe dovuto intervenire, con una richiesta di revisione della condizioni economiche, solo successivamente alla stipula della convenzione (ai sensi dell’articolo 143 del decreto legislativo 163/2016). La disposizione, puntualizza il giudice, costituisce invero strumento che consente «di rideterminare l’equilibrio delle concessioni per fatti sopravvenuti» e «i casi nei quali la norma consente la modifica dei termini del rapporto, essendo palesemente eccezionali, non consentono applicazioni estensive, e sono accomunati dal fatto di avere alla base circostanze di particolare rilevanza che sopravvenendo alla stipula del contratto ne modificano nella sostanza l’attuazione». In nessun caso, comunque, la «disposizione consentirebbe di modificare il contenuto dell’offerta economica presentata in sede di gara dall’aggiudicatario che deve essere poi trasfusa nel contratto d’appalto». Anche perché siffatta interpretazione «consentirebbe di aggirare agevolmente il principio di necessaria corrispondenza del prezzo all’offerta economica presentata in sede di gara dalla società aggiudicataria». Non condivisibili, poi, sono le censure sul difetto di motivazione. In realtà la stazione appaltante ha esaustivamente «giustificato il proprio ripensamento con l’antieconomicità dello stipulando contratto poiché la tariffa offerta dalla ricorrente per il trattamento del percolato si attestava su una soglia significativamente più alta rispetto ai prezzi di mercato (euro 36/mc contro euro 27/mc)». Non vi è spazio per dubitare, anche alla luce di una consolidata giurisprudenza, che il Rup non possa non sottoporre alla stazione appaltante, ed al proprio dirigente/responsabile del servizio, le implicanze determina da una intervenuta variazione di prezzi – anche successivamente all’assegnazione dell’appalto – che rende palesemente antieconomico proseguire con l’appalto e/o l’eventuale carenza, per fatti oggettivi, di risorse finanziarie tali da assicurare la copertura del successivo contratto. Non solo, lo stesso articolo 21-quinquies della legge 241/1990, conferma il giudice, ammette evidentemente, «in via di principio un ripensamento da parte dell’amministrazione a seguito di una nuova valutazione dell’interesse pubblico originario (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2400/2013; Sez. III, n. 6039/2011)». Pertanto, anche dopo l’aggiudicazione definitiva, non può ritenersi precluso all’amministrazione appaltante la prerogativa della revoca dell’aggiudicazione «stessa, in presenza di un interesse pubblico individuato in concreto, che ben può consistere nella mancanza di risorse economiche idonee a sostenere la realizzazione dell’opera (Consiglio di Stato, Sez. III,11 luglio 2012 n. 4116; Sez. IV, 19 marzo 2003 n. 1457)».