15.11.2018 – LE IMPRESE PRIVATE DI SERVIZI FUNEBRI POSSO CONSERVARE LE URNE CINERARIE
Il regolamento comunale che vieta alle imprese private di esercitare un’attività di conservazione di urne cinerarie è contrario al diritto dell’Unione. Una normativa di questo tipo costituisce una restrizione ingiustificata alla libertà di stabilimento garantita dal diritto dell’Unione. Lo ha deciso la Corte di Giustizia dell’unione europea con la sentenza 14 novembre 2018 nella causa C-342/16.
Il caso
Una società di diritto italiano offre ai parenti dei defunti cremati un servizio di conservazione delle urne cinerarie che consente loro di evitare di custodirle presso la propria abitazione o di collocarle in un cimitero. Con una delibera del 2015, il Comune di Padova (Italia) ha modificato il suo regolamento dei servizi cimiteriali, che, da allora, esclude espressamente che l’affidatario di un’urna cineraria possa avvalersi dei servizi di un’impresa privata, gestita al di fuori del servizio cimiteriale comunale, al fine di conservare le urne fuori dell’ambito domestico.
La società e una cliente hanno adito il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto per ottenere l’annullamento della delibera. In questo contesto, il Tar ha chiesto alla Corte di giustizia se il principio di libertà di stabilimento, sancito dall’articolo 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea osti a una normativa come quella adottata dal Comune di Padova. La Corte ha risposto affermativamente.
La posizione della Corte
La Corte ha rilevato che la normativa adottata dal Comune di Padova produce l’effetto di conferire ai servizi comunali un monopolio sulla fornitura del servizio di conservazione delle urne. Poiché la direttiva servizi non è applicabile, in quanto non tratta dell’abolizione dei monopoli che forniscono servizi, la questione deve essere esaminata alla luce delle sole disposizioni del Trattato, più precisamente sotto il profilo dell’articolo 49 del Tfue che garantisce la libertà di stabilimento.
La Corte ha dichiarato che una normativa nazionale che vieta ai cittadini dell’Unione di fornire un servizio di conservazione di urne cinerarie in uno Stato membro istituisce una restrizione alla libertà di stabilimento. Questa restrizione non è giustificata dalle ragioni imperative di interesse generale addotte dal governo italiano e attinenti alla tutela della salute, alla necessità di garantire il rispetto dovuto alla memoria dei defunti e alla tutela dei valori morali e religiosi prevalenti in Italia, i quali ostano all’esistenza di attività commerciali e mondane connesse alla conservazione delle ceneri dei defunti e, quindi, a che le attività di custodia dei resti mortali perseguano una finalità lucrativa.
Per quanto riguarda la tutela della salute, la Corte sottolinea che le ceneri funerarie, diversamente dalle spoglie mortali, sono inerti dal punto di vista biologico, in quanto rese sterili dal calore, sicché la loro conservazione non può rappresentare un vincolo imposto da considerazioni sanitarie.
Per quanto attiene alla tutela del rispetto della memoria dei defunti, la Corte ritiene che la normativa nazionale in questione si spinga oltre quanto necessario per conseguire tale obiettivo. Esistono, infatti, misure meno restrittive che consentono di conseguire altrettanto bene un obiettivo del genere, quali, in particolare, l’obbligo di provvedere alla conservazione delle urne cinerarie in condizioni analoghe a quelle dei cimiteri comunali e, in caso di cessazione dell’attività, di trasferire tali urne in un cimitero pubblico o di restituirle ai parenti del defunto.
Per quel che riguarda i valori morali e religiosi prevalenti in Italia (che osterebbero ad una finalità lucrativa delle attività di conservazione di resti mortali), la Corte rileva che l’attività di conservazione di ceneri mortuarie in Italia è assoggettata al pagamento di una tariffa stabilita dalla pubblica autorità e che l’apertura di tale genere di attività alle imprese private potrebbe essere assoggettata al medesimo inquadramento tariffario, che, di per sé, l’Italia evidentemente non considera contrario ai propri valori morali e religiosi.