18.10.2016 – E’ ILLEGITTIMA LA RISERVA IN FAVORE DELLE COOPERATIVE SOCIALI NELLE GARE DI APPALTO
GARE, ILLEGITTIMA LA RISERVA IN FAVORE DELLE COOPERATIVE SOCIALI
Nelle ipotesi di affidamento di un servizio pubblico, sia l’affidamento diretto quanto la gara riservata in favore delle cooperative sociali, si rivelano soluzioni prive di legittima base normativa, in quanto contrastanti con lo schema ordinario della gara aperta. Così ha affermato il Consiglio di Stato, Sezione V, con la sentenza n. 4129 del 7 ottobre 2016.
I fatti di causa Il Comune emetteva un avviso esplorativo per raccogliere manifestazioni di interesse a partecipare ad una procedura negoziata, senza previa pubblicazione del bando di gara, per l’affidamento della gestione del canile comunale, utilizzato non solo dalla Pa ma anche dai privati cittadini; avendo ricevuto una sola manifestazione di interesse, indiceva una gara pubblica riservata alle cooperative sociali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), Legge 381/1991.
L’illegittima limitazione La decisione di limitare la selezione all’ambito delle sole cooperative sociali deve essere congruamente motivata, soprattutto in considerazione della lesione che potrebbe derivarne agli altri operatori economici, impossibilitati a prendere parte alla gara, anche con riferimento ad eventuali precedenti affidatari del servizio che potrebbero vantare una posizione “differenziata”, meritevole di considerazione da parte dell’amministrazione, derivante dalla pregressa pluriennale gestione del servizio. L’applicazione dell’articolo 5 della legge n. 381/1991, infatti, incontra dei limiti nelle ipotesi in cui il “pubblico servizio” sia rivolto anche alla collettività e non solo alla Pa: la norma in questione è applicabile ai soli casi in cui la fornitura del servizio sia rivolta direttamente in favore dell’amministrazione e non anche allorché il servizio sia diretto ai cittadini.
Il rapporto strumentale con la Pa La riserva di partecipazione posta dalla norma in questione può essere legittimamente imposta solo per la fornitura di beni e servizi strumentali della Pa, cioè erogati a favore della pubblica amministrazione e riferibili ad esigenze strumentali della stessa. Al contrario, tale limite non può trovare applicazione in tutti i casi in cui si tratti di servizi pubblici locali, destinati a soddisfare la generica collettività. Tale interpretazione, coerente con il quadro generale dei principi che governano la materia dei contratti pubblici, fa leva sull’impiego della forma “fornitura di beni e servizi”, in luogo di quella “servizi pubblici locali”. Ciò in quanto la causa tipica dell’appalto di “fornitura di beni e servizi” prevede che la prestazione contrattuale posta a carico del contraente privato sia rivolta all’amministrazione per soddisfare una sua specifica esigenza e che al fornitore competa, quale corrispettivo dell’opera prestata, il pagamento di un compenso economico.
Il servizio pubblico locale La gestione del canile è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica: pertanto, non è suscettibile di affidamento diretto ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della legge 381/1991. I “servizi pubblici locali”, infatti, inglobano tutte quelle attività di servizio indirizzate alla collettività indeterminata dei comuni cittadini, secondo un’ottica trilaterale aperta ai terzi fruitori e difforme dallo scambio sinallagmatico e strettamente bilaterale tra amministrazione appaltante e privato appaltatore, tipico, invece, della “fornitura di beni e servizi”. Pertanto, stante la natura di servizio pubblico e in assenza di validi presupposti applicativi della legge 381/1991, tanto l’affidamento diretto quanto la gara riservata si rivelano soluzioni prive di legittima base normativa, in quanto parimenti confliggenti, sia pure con diverso grado di intensità, con lo schema ordinario della gara aperta.